Quando osservava il cielo pulito nelle giornate di vento, le rondini che tornano al loro nido, le onde spumose che si rincorrono eternamente per poi morire tra rocce e sabbia, o qualsiasi altro quadretto della natura caratterizzato da quegli aspetti che l'animo nobile classificherebbe come "belli", egli si sentiva il cuore attanagliare da una certa angoscia, quasi come se tutto cio' che lo circondava dovesse essere perso da un secondo all'altro. Il fatto che altre persone avessero provato le medesime emozioni non lo rassicurava affatto, anzi lo irritava ancor piu'. Non sopportava l'idea che altri avessero potuto anche lontanamente avvicinarsi alle sue sensazioni. Sapeva che non poteva essere altrimenti, ma continuava a negarlo a se stesso quale ultima risorsa, a suo incontestabile ed inappellabile giudizio, contro la pazzia. Si, lui era a conoscenza della sua fragilita' psichica (non era forse cosi' che l'aveva definita il dottor Cohen ai suoi genitori un giorno, credendo che lui non potesse udirlo?) e faceva di questa una barriera per potere sempre piu' rifugiarsi nella sua vita interiore, colma anzi satura di malinconie tristezze depressioni solitudine, ma sua, inequivocabilmente, esclusivamente sua. Godeva nell'annientare il proprio animo di fronte ad un tramonto, seduto su una panchina isolata, con lo sguardo immerso nel vuoto.
Piangere! Avesse solo potuto piangere! Nella sua vita da adulto non vi erano lacrime e di questo non poteva che rammaricarsene. Egli provava l'assurda sensazione che qualcuno, a sua insaputa, gli avesse estratto le ghiandole lacrimali e cio' gli impediva di fare quello che a lui sarebbe stato piu' congeniale: piangere. Gli amici, se cosi' poteva chiamare quei pochi conoscenti suoi coetanei che rare volte aveva frequentato, piu' per forzatura materna che per proprio interesse, loro si che erano fortunati: potevano piangere. Avrebbe anche potuto essere il titolo di un film: L'uomo senza lacrime, senonche' un produttore avrebbe riso di buon cuore nello scoprire che il personaggio principale non era un duro alla Humprey Bogart, ma bensi' un povero cretino con il desiderio irrefrenabile di assaggiare i propri umori lacrimali. Decisamente era stufo di apparire a tutti come un insensibile egoista, ma lui proprio non riusciva ad esprimere con il pianto le proprie tristezze delusioni rabbie. Se solo ci fosse riuscito... Si domandava se in tal caso egli sarebbe stato sempre con le lacrime agli occhi, come la signora Beltrami, che annaffiava il mondo in un continuo pluvio causato inizialmente da un lontano dissidio con la figlia ed ora stimolato da gioie dolori politica meteorologia. Oppure sarebbe riuscito a gestire quel dono del Cielo con parsimonia ed accortezza. Che importanza potevano avere tutte quelle fantasie? Lui di lacrime non ne versava e non ne avrebbe mai e poi mai versate. Non era cosi' fortunato, lui!
Di ragazze non ne aveva mai voluto saperne perche' piangevano troppo e cio' lo faceva
imbestialire. Gli piacevano, ma la rabbia e l'invidia erano piu' forti di qualsiasi
attrazione fisica. Questo sofferto ragionamento lo aveva portato alla tenera eta' di
ventisei anni senza altro rapporto di coppia che il classico scambio di sguardi da pesce
lesso e qualche sorriso forzato ed involontariamente malizioso con la figlia dei Petitti,
quei tizi invadenti del terzo piano. Odiava se stesso per questo aspetto del suo carattere
che gli negava quello che gli sarebbe spettato di diritto, cioe' la gioventu', e si
struggeva al pensiero che sua madre si preoccupasse sempre piu' per la sua apatia. Queste
erano ragioni valide per chiudersi ancor piu' in se stesso, farsi piccolo, piccolo, sempre
piu' piccolo fino a sparire, cancellare ogni proprio desiderio per far pagare al proprio
animo codardo l'incapacita' di piangere.
Ricordava ancora il giorno in cui era morta sua nonna con tristezza mista a rabbia.
Aveva adorato la nonna, anche se non fosse mai riuscito ad esprimere tangibilmente questo
sentimento. Di certo lei lo aveva capito perche' gli anziani hanno esperienza ed una
maggiore sensibilita', e poi la nonna era una persona speciale, una di quelle che non si
trovano piu'... Gia', non si trovano piu'... Quando lei mori' lui era presente. Era
l'unico ad essere in casa in quel momento ed aveva sentito la nonna lamentarsi per una
buona mezz'ora, poi piu' nulla Si era impensierito ed era entrato nella sua stanza: lei
era la', seduta sul letto, con una espressione stravolta in viso, e piangeva
sommessamente. Quando lo vide emise come in un gemito: "Vieni, Francesco" e poi
continuo' a piangere. Lui non capiva bene cosa stesse succedendo, dato che allora era
ancora molto giovane, ma le si avvicino' rispettosamente, quasi fosse conscio
dell'importanza del momento. La nonna gli fece una carezza senza fermare il pianto ormai
copioso. Un ultimo sospiro: "Francesco... Francesco". Poi tacque. Non comprese
subito cosa significasse quel silenzio innaturale, ma senti' ugualmente un nodo formarsi
nel petto, una sensazione inspiegabile e mai provata. Per un attimo si senti' come se
fosse senza peso, poi la stanza gli sembro' deforme, le mani gli diventarono gelide e le
labbra asciutte. Avrebbe voluto piangere, ma qualcosa lo blocco': forse l'arrivo della
madre, le grida, il telefono, la confusione... Non pianse allora e non aveva pianto piu'.
Oggi, a distanza di sedici anni, nulla era mutato. Li', di fronte alla tomba della
nonna, con il volto contrito ed una mazzo di rose rosse, oh quanto amava le rose la nonna,
si sentiva come allora un povero essere incapace piangere. Perche' poi la nonna piangesse
fu per lui sempre un mistero. Aveva forse ella paura di morire? No, la nonna no, lei non
aveva mai avuto paura. Chissa' allora quali dispiaceri avevano infranto il povero vecchio
cuore... Se solo avesse potuto capire!...
" Francesco". A sentire pronunciare il proprio nome da una voce sconosciuta
trasali'. Il volto che si presento' alla rapida ispezione dei suoi occhi era vagamente
familiare, ma egli non rammentava di avere mai incontrato quell'omone dai capelli grigi
che lo stava guardando con bonarieta' e con uno smagliante sorriso stampato sul volto.
"Non mi riconosci? Sono lo zio Alberto." La sorpresa di trovarlo in quel luogo,
in un giorno feriale, sedici anni dopo... beh, proprio lui che abitava all'estero e che
non si era neanche scomodato di venire al funerale della nonna! A Francesco parve
incredibile. Le parole ebbero una difficolta' tremenda a sorpassare la barriera creata
dalla lingua, improvvisamente turgida e implacabilmente pressata contro le labbra serrate:
"C... Come stai, zio?". "Non ci si puo' lamentare. Certo non ho piu'
vent'anni e dopo quell'incidente non sono stato piu' lo stesso."
"Incidente?...", Francesco esclamo' meravigliato e leggermente frastornato,
"...quale incidente?". "Forse tu eri troppo giovane allora e puo' darsi che
non ricorderai. Avvenne circa sedici anni fa, poco prima che la mamma, cioe' tua nonna...
Sai, ne uscii vivo per miracolo, si, proprio per miracolo...". Con queste parole,
cariche di memorie spiacevoli, lo zio tronco' bruscamente il discorso e si giro'
sveltamente per nascondere le proprie lacrime, scusandosi per l'allergia che, a suo dire,
lo tormentava da anni.
Francesco venne colpito da un dubbio terribile. "Ma, allora, la nonna
sapeva...". Lo zio Alberto lo fissò per un attimo, scrutandolo a fondo in una
inutile ricerca di emozioni visibili. Francesco si era irrigidito ed aveva sentito uno
strano calore raggiungere le tempie. Avrebbe voluto chiedere ulteriori spiegazioni o
chiarificazioni per potere rompere una volta per tutte quell'orribile muro che lo isolava
dagli altri, ma le parole gli morirono in gola.
Quell'uomo pacato dall'argenteo crine, con lo sguardo dolce che rammentava quello della nonna e che dava al suo volto una espressione serafica, afferrò la singolarità della situazione che si era creata. Istintivamente continuò il dialogo interrotto, sperando forse di essere in qualche modo di aiuto al nipote: "La nonna era a conoscenza del mio incidente, dato che il consolato le aveva telefonato quasi immediatamente. Appena potei riprendere l'uso della mano scrissi una lunga lettera, rassicurandola sulla mia sorte. Povera donna! Tua madre mi scrisse, informandomi che era morta serena... Sai, Francesco, i dottori non volevano credere che avesse potuto resistere così a lungo, con il suo fisico gracile... Sono convinto che combatté con la morte finché non fu sicura che io fossi vivo. Pensa che le trovarono la mia lettera tra le mani, ancora umida... Chissà quanto avrà pianto di gioia. Sai, lei... Ma che fai, Francesco, piangi?!