Pubblicato su L'IDEA N.71, 1998, NY

L’olivo venne introdotto probabilmente dall’Asia Minore in Grecia, donde si diffuse verso occidente. L’olivo è nominato nella Bibbia, nelle leggende mitologiche e dagli scrittori greci e romani. I Greci e i Romani, dai quali era apprezzato per la sua utilità, intrecciavano i suoi ramoscelli insieme a quelli dell’alloro per farne corone per i cittadini meritevoli della patria. I Greci ebbero addirittura un culto per l’olivo, considerandolo pianta sacra alla dea Minerva. La specie mediterranea. Olea europea, è distinta in due sottospecie, l’oleastro od olivo selvatico (Olea oleaster), e l’olivo coltivato o domestico (Olea sativa). L’olivo domestico è un albero di dimensioni maggiori del selvatico, con statura in media fra i 4 e i 12 metri, ma che può raggiungere anche i 20 metri qualora le condizioni di clima e di terreno siano ottimali. Il fusto è grosso, i rami sono arrotondati, lisci e senza spine, la chioma è solitamente ben sviluppata e slanciata. I rametti dell’olivo sono flessibili e talvolta pendenti, le foglie, lanceolate, sono verdi e glabre nella parte superiore, bianco-lucenti in quella inferiore. I frutti dell’olivo coltivato sono grossi, polposi, ricchi di olio, ma meno numerosi che nel selvatico e sempre in numero limitato rispetto a quello dei fiori. Varietà pugliesi (la Puglia fornisce più di un quarto dell’intera produzione di olive in Italia) sono l’Ogliarolo del Gargano, il Provenziale o Poranzano, l’Ogliarola barese o paesana o Cima di Bitonto, la Coratina o a cacioppa, l’Ogliarola di Lecce, la Cellina di Nardò. A queste varietà a frutto da olio ne vanno aggiunte parecchie a frutti eduli, per consumo diretto, preparati in bagno di sale o essiccati al forno, quali la Cerignola. L’olivo si può propagare sia per semi che per parti di pianta. Dai noccioli delle olive domestiche si ottengono gli olivastri spontanei e gli olivini d’allevamento. Quando gli olivastri spontanei sono ancora giovani, essi possono essere raccolti, scartando quelli che non abbiano fusto dritto e liscio, e trapiantati tali e quali. Oppure, come si usa nel Leccese, dove questi olivastrelli vengono chiamati termiti, gli olivastri possono essere trasferiti in un vivaio, dove s’innestano l’anno seguente, e a tempo opportuno vengono portati a dimora. Gli olivini d’allevamento sono quelli ottenuti dalla semina dei noccioli di oliva, sviluppati in vivai appositi e innestati con le varietà più note. Varie parti di questa pianta sono utilizzate per la sua moltiplicazione sin dall’antichità e si può affermare che i tre quarti degli oliveti coltivati sono stati così creati. Gli ovoli sono dei rigonfiamenti tondeggianti che si trovano alla base del fusto e nelle piegature delle grosse radici a fior di terra. Creati dall’accumulo di tessuto prolifero in seguito a ferite, ingorgo di linfa e altro, gli ovoli, in condizioni adatte, danno luogo a germogli vengono staccati dalle piante adulte e vecchie e piantati a fine marzo, in file, con il legno rivolto verso il basso. Dei getti che nascono se ne allevano i migliori per tre o quattro anni, quindi si curano le piantine con lavori, concimazioni e schiacciature come per le piantine da seme nel vivaio, per poi trasportarle a dimora. I polloni sono ovoli germogliati sulla pianta e si pongono a dimora allorché sono giunti a giusto sviluppo. Le talee sono pezzi di rami, lisci, a scorza grossa e tenera, che per lo più si ricavano dalle potature e possono essere piccole o grosse. Si possono inoltre utilizzare altre parti di pianta, come le talee ramificate, pezzi di piccoli fusti o di radici, ecc., ma questi metodi di propagazione presentano vari inconvenienti ed hanno scarsa resistenza alle meteore e ai parassiti delle piante provenienti da seme. L’olivo è di lento accrescimento, impiegando dai 30 ai 40 anni, a seconda delle condizioni colturali più o meno favorevoli, per raggiungere il completo sviluppo, il periodo cosiddetto di stazione, il quale può durare da uno a vari secoli, succedendo poi ad esso il periodo di vetustà e decadimento. Le foglie sono, come i rami, opposte e a verticilli alterni. Si cambiano ogni tre anni e quindi l’olivo è pianta perenne sempreverde. I fiori e i frutti si formano sul ramo dell’anno precedente, all’estremità della porzione con frutto pendente. Spesso, per una particolare situazione colturale, l’olivo rimane poco sviluppato e non da frutto o in scarsa misura, avendosi così l’alternanza di raccolto che, a torto, è ritenuta da molti coltivatori un fatto normale. Il frutto si sviluppa tra la primavera e l’estate e matura, cioè si inolia, fra l’autunno e l’inverno. Il ciclo molto lungo della fruttificazione, che si completa nella stagione piu inclemente dell’anno con la concomitanza di numerose circostanze di natura colturale e di cause avverse, rende l’olivo un albero di non sempre facile risultati, che richiede attenzioni e cure risale fino a quelle preventive dell’impianto. L’olivo non cresce in zone soggette a eccessi o sbalzi repentini di temperatura o ad una marcata penuria di umidità. Pianta di non eccessive esigenze, la si può affidare anche a terreni pietrosi, rocciosi, che con le sue potenti radici riesce ad intaccare ed esplorare in cerca di alimenti, utilizzando i piani, previa costante eliminazione dell’umidità eccessiva con l’affossatura e la fognatura, e ancor meglio i colli, nei quali le scarse acque possono essere regolate e trattenute con terrazzamenti. Con l’aggiunta di concimi, l’olivo può dare in tutti i terreni risultati assai vantaggiosi.



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