Pubblicato su L'Idea n.74, 1999, NY

I vetri delle finestre emettevano un suono raccapricciante al continuo rintronare dei tuoni, mentre la pioggia impietosamente ritmava musiche tribali su una latta lasciata ad arrugginire sul balcone. Erano già le tre ed il telefono non accennava a dare segni di vita: troneggiava con il suo impudico color giallo zafferano nel bel mezzo di una mensola, acquistata esclusivamente per la sua comodità, ammutolito, quasi fosse offeso. Giorgio avrebbe voluto comunicare con quell’oggetto ibrido, ma gli risultava impossibile. Del resto il loro rapporto si era rivelato difficile fin dagli inizi…

Ricordava nitidamente e con inquietudine il giorno del suo arrivo: l’installatore, un uomo atticciato infilato a fatica in una tuta impropriamente bianca, aveva estratto con naturalezza quell’oggetto stranissimo dal suo contenitore di cartone, ponendolo con cautela sul pavimento.
All’apparizione di quel giocattolo avveniristico, Giorgio aveva accennato rispettosamente al fatto che l’ordinazione originale si riferiva ad un modello classico da tavolino, di colore nocciola, ma a nulla valsero le sue rimostranze tranne che ad irritare il candido teatrante e a fargli interrompere l’installazione per offrire a Giorgio una dimostrazione pratica della maneggevolezza di quell’apparecchio.
Dopo una cicalata di oltre dieci minuti, intercalata da centinaia di sospiri e gesticolazioni, il tecnico riprese il proprio lavoro in un riverente mutismo. Giorgio fu colpito dalla delicatezza con cui quell’omone maneggiava l’insulso marchingegno e, insospettito, si peritò di aggiungere ulteriori proteste. L’aggancio dello spinotto fu ultimato in un silenzio religioso: a lui era parsa una semplice spina telefonica, ma l’appellativo confidenziale usato dal tecnico gli aveva fatto sorgere il dubbio che il suo giudizio fosse errato e che in essa si racchiudesse chissà quale misterioso potere per cui, prima o poi, egli sarebbe riuscito a provare per essa, o per esso, un’irresistibile simpatia. Mentre Giorgio sfogliava il catalogo dei vari modelli di apparecchio telefonico, il tecnico artatamente preparò i documenti per la consegna e glieli fece firmare mostrando un’improvvisa ed inspiegabile fretta. Fu così che Aster fece la sua entrata trionfale e subdola in casa di Giorgio.

Dopo i primi attimi di diffidenza, egli alfine si avvicinò all’apparecchio e lo carezzò. Il materiale plastico del quale la struttura esterna di Aster era composto gli diede una sensazione strana, quasi fosse gelatina. Il design era stato ideato e curato da Maxine, che non era una progettista francese come faceva credere il nome, ma bensì un computer della serie Optimum 927 o qualcosa del genere.
Dopo averlo riposto sulla mensola, Giorgio si sedette sulla poltrona ad osservare quel giallume astrale, sforzandosi di provare soddisfazione per il lungamente atteso possesso di un apparecchio telefonico.
Stranamente, la bolla di consegna da lui firmata parlava chiaramente di apparecchio telefonico da tavolo di colore nocciola, e ciò tarpò le ali all’entusiasmo ormai nascente. Cercò di cancellare quella fastidiosa sensazione di essere stato turlupinato, reputando che in fondo a lui il telefono serviva e anche se il colore non fosse proprio di suo gradimento non toglieva nulla alla funzionalità dello strumento. Dopo vari intrecci mentali, egli decise di inaugurare la linea telefonica facendo una chiamata a Marisa, la sua ragazza. Sollevò il ricevitore ed udì lo sciacquio delle onde marine per qualche secondo, poi più nulla. Ripose il ricevitore con violenza e diede sfogo alla sua rabbia elencando alle pareti della sala tutti gli improperi conosciuti.
Quando riuscì a riprendere parzialmente il controllo dei propri nervi, egli riprese la cornetta e compose il numero del centralino, deciso a gridare la propria esasperazione alla prima persona con la quale avrebbe potuto parlare. Quando il centralinista rispose egli ammutolì: come poteva protestare del mancato funzionamento di un apparecchio da cui stava parlando? Egli si riconobbe doppiamente idiota e chiuse la comunicazione. Per il resto della giornata Giorgio evitò di posare lo sguardo nell’angolo di sala dove era avvenuto il misfatto. Annottava quando egli trovò il coraggio di riavvicinarsi a quell’aberrazione giallastra e azzardarsi a verificarne la sua funzionalità.
Al contatto dell’orecchio il ricevitore emise un lungo e ripetuto vagito, distruggendo gli ultimi dubbi rimasti. Giorgio chiamò Marisa, poi Gianni, poi Stefano, poi tanti altri, cosicché, quando la cornetta venne messa a riposo, l’orecchio destro era indolenzito e caldo, la sua voce rauca e le labbra secche, ma l’animo era sereno e dimentico dell’avvilimento di qualche ora prima. Per due giorni vi fu tregua, pi il terzo giorno avvenne il miracolo: per la prima volta il telefono squillò. Giorgio rispose soddisfatto alla chiamata, ignaro che la guerra tra lui ed Aster fosse stata dichiarata: il segnale di occupato lo derise. Nei seguenti quarantacinque minuti il telefono trillò la propria sfida ben ventidue volte, per cui Giorgio decise di andare a prendere una boccata d’aria.
Dopo aver ingoiato di malavoglia due bocconi da Alfredo, decise di andare a fare quattro salti allo Xylon. Chiamò Marisa da un telefono pubblico, ma non la trovò. Pensò che forse lei ce l’aveva un po’ su con lui per la faccenda del telefono, trovandola una delle sue solite scuse, e che fosse andata con le amiche a quel maledetto dancing. Risolse di andarci lo stesso, da solo. Marisa non c’era. Si stancò ben presto e s’incamminò per casa. Arrivò alla porta del proprio appartamento quasi senza accorgersi. Si stupì di sentirsi così leggero, rinnovato. Dopo tutto era stata una serata del cavolo… Infilò intrepido la chiave nella toppa e subito udì Aster lanciare il proprio grido d’assalto.
Giorgio si affrettó ad entrare e a sollevare il ricevitore: il segnale di occupato persisteva… Egli decise che era venuto il momento di tenere staccata la cornetta dalla forcella, non immaginando che l'insistenza di Aster si sarebbe dimostrata superiore ad ogni aspettativa e al di lá di ogni logica.
Dopo circa venti minuti il telefono scampanelló misteriosamente ed insistentemente. Giorgio portó il ricevitore all'orecchio per curiositá, sorpreso dalla sconosciuta possibilitá che potesse trillare anche con la cornetta staccata, e rimase esterefatto nell'udire una voce di chiara estrazione digitale ripetere l'orario esatto. Vi era un solo modo per costringere Aster al silenzio, ma ció precludeva qualsiasi contatto con l'esterno e gli parve una mossa avventata, nonostante l'esasperante situazione. Decise quindi di telefonare al centralino usando proprio quel meraviglioso apparecchio, che nel frattempo aveva ripreso ad emettere un belante suono di libero.
La centralinista lo rassicuró, confidandogli che vi erano stati problemi di linea, causati da un malfunzionamento di una centralina proprio nella sua zona, ma che egli non si doveva turbare, perché ormai erano stati risolti. Con voce suadente e leggermente sensuale la centralinista si identificó con il nome di Stefania e aggiunse che se proprio avesse avuto altri disturbi avrebbe potuto richiamarla e lei si sarebbe interessata del suo caso personalmente. Rimuginando sul fatto che per qualche ragione imperscrutabile queste invisibili rappresentanti della telefonia non si chiamassero mai Genoveffa o Ermenegilda, egli chiuse prestamente la comunicazione. Dopo di ció Aster tacque, a conferma della veridicitá di Stefania o Ermenegilda qual fosse. Era stata una giornata faticosa e decisamente stressante ed egli si avvió in direzione della propria stanza da letto senza esitazioni. Il letto gli parve offrire un rifugio dal quale non si sentí di fuggire. Si sfiló le scarpe e si lasció scivolare nel'abbraccio delle fresche lenzuola, senza neanche svestirsi.

Alle due e mezza, quando ormai un sonno profondo aveva accolto Giorgio nella propria cappa protettiva, le trombe del giudizio suonarono il raduno nella ormai odiata sala. L’effetto subitaneo fu di rendere scattante un corpo ormai notoriamente aduso alla sedentarietà, mentre i risultati finali della gimkana nel buio della stanza furono un ematoma al ginocchio, la rottura di un vaso di ceramica cinese con molta probabilitá del periodo Ming, a detta dell’antiquario amico di famiglia, e una miriade di tagli nel piede destro. Al suo arrivo al cospetto dell’infernale aggeggio sopravvenne il silenzio. Giorgio rimase pietrificato nella sua posizione da fenicottero, fendendo il buio con il suo sguardo carico d’odio. Poco per volta si accorse che il silenzio non era perfetto: un mesto, ripetuto gemito proveniva dall’angolo in cui Aster avrebbe dovuto essere. Egli decise alfine di illuminare la stanza e premette l’interruttore. Aster continuò a lamentarsi, probabilmente ignaro della sua presenza. In un istante chiarificante Giorgio comprese l’importanza dello “spinotto” ed interruppe brutalmente l’amplesso tra il telefono e la presa a muro. Un ghigno satanico gli pervase il volto. Il piede sanguinava abbondantemente sul tappeto Astrakhan, presumibilmente di un certo valore, a detta dello stesso amico di famiglia, a riprova della validità del proverbio “chi rompe paga e i cocci sono suoi”, ma egli non se ne curò molto, tanto era grande la soddisfazione di aver tacitato il mostruoso apparecchio. Dopo quella notte l’allacciamento venne eseguito solo quando Giorgio necessitasse l’uso dell’apparecchio; così almeno per una settimana o poco più.
Quando le proteste degli amici e della fidanzata a proposito della sua indisponibilità divennero insistenti, egli si decise ad innestare definitivamente lo spinotto, nella speranza che qualcosa fosse cambiato. Gli parve inverosimile che tutte le sue pene potessero essere finite e, nel corso della giornata, verificò più volte la funzionalità di Aster, constatandone con gradevole sorpresa la piena salute.

Passarono settimane di magia, nelle quali i soli suoni presenti in casa erano il ticchettio dell’orologio ed il ciclico ronzare del frigorifero, il cui compressore soffriva ormai di ricorrenti crisi isteriche. Ma, dopo due mesi di assoluta mancanza di chiamate, il sospetto che tutto questo non fosse dovuto al caso, ma bensì fosse un’altra mossa strategica di quell’odioso oggetto mirata ad esasperarlo, divenne sicurezza.
Gli amici confermarono i loro inutili tentativi di raggiungerlo telefonicamente e Marisa lo informò che nel frattempo aveva incontrato un tizio tutto di un pezzo, con il telefono funzionante ventiquattr’ore al giorno, e se ne era inevitabilmente innamorata… L’esasperazione delle settimane passate in compagnia di Aster lo costrinse ad optare per una scelta inevitabile.
Si mise dunque in contatto con la compagnia telefonica, spiegando nei dettagli il suo “caso” ad un addetto dalla voce untuosa ed irritante. Al termine della conversazione, Stefano -- quando mai si trova un Ermenegildo nel bisogno?-- gli promise che la Direzione avrebbe preso una decisione entro la mattinata e lo avrebbero avvisato immediatamente sull’esito di questa. Il pomeriggio era arrivato però senza alcuna novità… Il temporale faceva da sfondo melodrammatico all’assurda situazione che si era creata e Giorgio era conseguentemete giunto al limite della propria pazienza.

Alle quattro pomeridiane il campanello misteriosamente trillò, ma egli si rese subito conto che qualcosa non quadrava. Si alzò dalla poltrona e si piantò davanti ad Aster, pronto a fare una pazzia nel caso lo squillo non venisse ripetuto. Il campanello risecondò il proprio richiamo e solo allora egli si accorse che il suono proveniva dalla porta d’entrata. Andò ad aprire: due uomini in tuta bianca lo stavano attendendo pazientemente. Con un sorriso da pubblicità da pasta dentifricia gli porsero le scuse della Direzione, aggiungendo spiegazioni complesse ed incomprensibili su alcuni aspetti tecnici della linea “Aster” che avevano causato dei problemucci qua e là nella rete telefonica.
«Deve sapere» aggiunse uno dei due angeli liberatori «che Aster aveva delle funzioni supplementari, quali la “sveglia sensoria” e la “immissione telecomandata del contatto percettivo ultraselezionato”, ma tutte queste caratteristiche non erano state sperimentate a fondo e si sono rivelate imperfette. Dunque, la progettazione di un nuovo modello Aster, ancor più perfezionato, è stata scartata, la produzione interrotta e gli apparecchi ancora in dotazione agli utenti ritirati. Se non vi fosse stato un errore di trascrizione, per cui alla centrale Lei risultava in possesso di un telefono da tavolo di color nocciola, noi saremmo venuti a ritirare Aster alcune settimane fa. Sfortunatamente, vi è stato questo strano “qui pro quo”, e allora… Ma adesso tutto è a posto e Lei avrà alfine un telefono funzionante e di Suo gradimento. Basta mettere una firma qui… e qui. Ecco, bravo.»
Giorgio era tanto eccitato che non riusciva a proferire una parola. Quell’arfasatto del tecnico precedente si era preso gioco di lui, ma tutto era finito. Quell’irritante, giallognolo insulto all’estetica se ne sarebbe andato per sempre…
«Mi scusi, signor Palmer, ma Lei sa che onore Le è stato conferito dalla Direzione? Lei sarà il primo utente in assoluto ad essere in possesso di un telefono della serie “Vega”! Sa, quella che ha sostituito la serie Aster…» «Io, veramente, avrei ordinato un telefono da tavolo color nocciola.» riuscì ad esalare Giorgio, interrompendo la disdegnata inaugurazione terrorizzato.

«Signor Palmer, Signor Palmer», replicò con tono di rimprovero il più anziano dei due liberatori, «ma Lei non si rende conto che il Vega non è come l’Aster… Guardi, glielo dico come se fosse mio figlio. Lei permette vero… Sa, ho un figlio che avrà la sua età… Le somiglia anche un poco di profilo…Beh, bando alle chiacchiere… Stavo dicendole che la serie Vega è stata concepita in tutti i dettagli da un computer dotato di un’intelligenza virtuale incomparabile, l’Optimum 929. Tutto quello che nel modello Aster malfunzionava è stato eliminato oppure perfezionato. Inoltre, il Vega ha l’effetto stereo, la sonorizzazione bipolare incorporata, la segreteria telefonica con scelta di lingua e tonalità e con selezione automatizzata di esclusione di chiamate provenienti da persone sgradite. Non parliamo poi della microanalisi dei messaggi e dei numeri di chiamata, con possibilità di continuare la registrazione anche dopo che la comunicazione sia stata interrotta… Come può Lei pensare, anche solo per un momento, di rifiutare questo gioiello della tecnologia moderna? Ma non si rende conto che privilegio…»

Al proferimento di queste ultime parole, nelle mani del tecnico apparve, con un abile gesto da prestidigitazione, una strana forma ameboide di color viola, che venne posata con delicatezza sulla mensola al posto del “vecchio” Aster, scomparso clandestinamente dal campo visivo dell’esterefatto Giorgio.

«Guardi, non ha neanche bisogno di esssere allacciato! Eh! Lei è uomo fortunato, Signor Palmer: la Sua richiesta di un “nuovo” telefono è stata accettata. Lei è ora padrone di un invidiatissimo modello Vega. Congratulazioni e arrivederci. » Pietrificato, Giorgio non trovò il coraggio né di muoversi nè di guardare Vega. Nelle mani si era ritrovato la temuta bolla di consegna ed il suo sguardo si era posato immediatamente sulla descrizione dell’oggetto appena consegnatogli.. Sotto al suo indirizzo c’era chiaramente scritto: Apparecchio telefonico da tavolo serie Melody, color nocciola…
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